1 gennaio 2022

Una tazza di mirtilli, un vasetto di yogurt magro bianco, un cucchiaino di zucchero e uno di miele. Gli ingredienti erano disposti sul tavolo, come ogni mercoledì mattina, pronti per diventare la maschera viso preferita di Valentina. Plink. Plink. Plink. Valentina uscita dalla doccia e ancora in accappatoio gocciolava per tutta la casa dirigendosi dal bagno verso la cucina in cui aleggiava ancora l’odore del caffè. Armata di cucchiaio e frullatore inizia a mescolare gli ingredienti aggiungendo pian piano lo zucchero ed il miele. Distrattamente intona una canzone che sente alla radio ma che non conosce mentre continuava a preparare la sua maschera per il viso.

Drin. Drin. Drin. Squilla il citofono in lontananza. Valentina si affretta a pulire le mani sull’accappatoio e inizia a gocciolare dalla cucina al salotto e dal salotto all’ingresso. Afferra la cornetta rispondendo con voce squillante: “Residenza Vallebruni, chi è?”. Dall’altro capo una voce rauca chiede conferma “La signora Valentina Vallebruni?”. Margherita: “Sì, sono io, chi è?”. La voce rauca risponde: “Buongiorno Signora Vallebruni, sono il Commissario Mercurio, posso salire?”.

Valentina sorpresa dalla visita inaspettata mette da parte la sua maschera ai mirtilli e sostituisce l’accappatoio con una giacca da camera color perla. Poi apre la porta accogliendo l’ospite: “Buongiorno Commissario, prego si accomodi. A cosa devo la sua visita?”. “Signora Vallebruni”, ripete nuovamente il commissario quasi per accertarsi ancora una volta che fosse davvero lei, “mi spiace doverle comunicare che questa non è una visita di piacere”. Il Commissario fa una pausa, che Valentina coglie per chiedergli se gradisse un bicchiere d’acqua. Tornata in salotto con una caraffa d’acqua e due bicchieri, li poggia entrambi sul tavolino ai piedi del divano riempiendoli fino all’orlo. “Avanti Commissario, mi dica” lo sprona Valentina, con tono impaziente. “Vede Signora, un terribile episodio questa notte ha causato la morte del Signor Fast Fashion. Le indagini sono già in corso e le circostanze fanno pensare ad un omicidio colposo. Dunque, sono qui per farle qualche domanda”.

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Crash. Valentina lascia cadere il bicchiere dal quale stava bevendo, che si frantuma in mille pezzi. Lo sguardo fisso nel vuoto ma gli occhi le si riempiono di lacrime. Il silenzio. Valentina era devastata. Milioni di domande le offuscarono subito la mente: come è potuto succedere? Chi ha mai potuto fare una cosa così meschina? Per quale motivo uccidere colui che offriva posti di lavoro a miliardi di persone in tutto il mondo? Come è possibile che nessuno abbia previsto l’arrivo di un evento tanto sconvolgente? Chi si prenderà cura di me d’ora in poi? Cosa sarà la mia vita senza il Fast Fashion?

Il Commissario provvede subito a passarle il suo bicchiere d’acqua, consolando Valentina e dicendole che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per portare luce sul caso Fast Fashion. Commissario: “Signora Vallebruni, lei era per caso a conoscenza se Fast Fashion avesse o meno dei nemici?”. Margherita: “No, no, no! Ma Commissario, come può pensare una cosa del genere? La sua produzione era sempre più accelerata e sempre più economica, offrendo a miliardi di consumatori la possibilità di partecipare ai trend stagionali e alle ultime tendenze senza dover spendere cifre esorbitanti che poi, detto tra noi ma tanto si sa, solo una piccolissima porzione della popolazione si può permettere di spendere.

Valentina singhiozza dalla disperazione, ancora non riesce a credere alla notizia da poco annunciatale. Inspira profondamente, poi prosegue: “Ecco, detto ciò, le lascio immaginare quanti consumatori il Fast Fashion abbia reso felici, proponendo un outfit nuovo per ogni occasione nell’arco di poche settimane. E ce n’era davvero per tutti gusti”.

Il Commissario, un ascoltatore attento e scrupoloso, prendeva appunti sul suo taccuino senza interrompere Valentina che con trasporto continuava a citare, uno dopo l’altro, gli sforzi che Fast Fashion aveva fatto negli ultimi anni per soddisfare i suoi consumatori e ricambiare la loro fedeltà con prodotti di tendenza.

Vaalentina non poteva essere più convinta delle sue parole. Fast Fashion era stato per lei un amante fedele ed affettuoso, generoso e gentile, sempre presente, sempre disponibile a soddisfare ogni suo desiderio, ogni suo impulso, ogni sua necessità. La sua morte è stata per Valentina profondamente destabilizzante e l’unica cosa che avrebbe potuto portarle pace era la scoperta dell’assassino.

Boom. Il commissario chiuse la porta di casa lasciandosi dietro una scia di dubbi, domande, e incomprensioni. Valentina, immobile, giaceva sul divano. Addosso ancora l’accappatoio. Gli occhi gonfi e lo sguardo vuoto. Una parte di lei continuava a pensare che tutto questo non stava accadendo davvero, che si trattava solo un brutto sogno che aveva temporaneamente interrotto la sua routine preferita del mercoledì mattina, ma che presto tutto sarebbe tornato alla normalità.

Valentina si alzò dal divano e lasciò il salone. Attraversò il corridoio che portava alla camera da letto per arrivare poi alla cabina armadio. Aprì le ante dell’armadio principale assaporando con uno sguardo malinconico ma attento tutto ciò che Fast Fashion le aveva regalato negli ultimi anni. L’armadio spopolava di capi da giacche a gonne a camicie e maglioni, molti dei quali giacevano inermi con ancora il cartellino appeso. Valentina prese tra le mani il suo ultimo acquisto nonché il suo nuovo capo preferito, d’altronde sembrava che Valentina riservasse un trattamento preferenziale ad ogni ultimo capo acquistato finché non ne comprasse un altro ancora. In questo caso si trattava di una camicetta blu notte con le maniche a sbuffo. Un vero affare, pensò Valentina al momento dell’acquisto, perché la manica arricciata per quanto non le piacesse troppo era tornata di moda. La sfilò dalla gruccia e la indossò con fare nostalgico. Si mise davanti allo specchio pensando a tutti i bellissimi ricordi che Fast Fashion le aveva lasciato e che mai nessuno le avrebbe potuto portare via. Ma è proprio mentre il cuore di Valentina si abbandonava ai ricordi di Fast Fashion che la sua mente nota un dettaglio mai visto prima. Tanti piccoli fastidiosi pallini, quelli pallini che trasmettono un senso di vecchiume e trascuratezza del capo, ma come è possibile se quel capo non era neanche stato ancora utilizzato? Valentina si affrettò a sfilare via la camicetta e la rovesciò alla ricerca dell’etichetta. Etichetta che non si era mai curata di guardare durante i suoi acquisti. 50% poliestere, 50% viscosa. Made in Bangladesh. Ecco cosa c’era scritto su quell’etichetta rivelatrice.

La nostalgia lasciò presto il posto ad una profonda delusione. Valentina iniziò a prendere i capi del suo armadio, disponendoli sulla larga panca della cabina armadio, per studiarli uno ad uno. I suoi occhi non vedevano più scintillanti capi che avrebbero reso unica ogni occasione durante la quale li avrebbe indossati, al contrario, la sua vista era offuscata da materiali sintetici e scadenti, prodotti in paesi che Valentina non avrebbe neanche saputo localizzare sulla mappa. O forse, per la prima volta, la sua vista non era più offuscata, era lucida e vispa, proprio come la sua mente, all’interno della quale si accumulavano nuove domande. Valentina era disgustata, si sentiva tradita, presa in giro. Pensava a tutte le belle parole ed intenzioni che Fast Fashion le aveva dedicato e non riusciva a capacitarsi del fatto che nonostante tutte le sue promesse, il suo armadio fosse solo pieno di menzogne.

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Valentina, incredula, continuava a scavare nei cassetti, alla ricerca di qualcosa che potesse farle togliere dalla testa tutti questi brutti pensieri su Fast Fashion, ma nulla sembrava migliorare la situazione. Anzi, ogni capo era l’emblema di tutti gli scheletri che Fast Fashion aveva nascosto nel suo di armadio e di cui Valentina non aveva neanche mai sospettato. Il loro era un amore di illusioni, invenzioni e promesse mai mantenute. Ogni nuovo capo prometteva di esserle fedele e durare ma ecco che, dopo poche settimane, i suoi materiali scadenti prendevano la forma di pallini sulle maniche e attorno al collo, proprio come quella camicetta blu che già non era più la sua preferita. 

Valentina era giunta ad un’amara conclusione: era stata tradita. Fast Fashion aveva mascherato la sua infedeltà con capi a prezzi stracciati ai quali Valentina non riusciva a dire no, con collezioni sempre nuove ispirate ai marchi d’alta moda in segno di stima e ammirazione, e con campagne pubblicitarie all’insegna della sostenibilità ambientale e sociale. Ma come ogni amante innamorato, Valentina faticava ad accettare anche solo l’idea del tradimento. Così, si mise a fare un po’ di ricerche che potessero smentire queste voci dispettose che non volevano più tacere. Abbandonò i capi sul letto, le ante dell’armadio spalancate e si recò di corsa nello studio. Accese il computer e digitò “di cosa è colpevole il Fast Fashion?” sulla barra del motore di ricerca. Circa 96.700 risultati in 0,44 secondi. Valentina rimase sconcertata dalla quantità di informazioni sul suo amante che popolavano la rete. Fast Fashion, anche detto “moda veloce”, è un termine usato per descrivere la produzione sempre più veloce di capi dalla vita breve. Fast Fashion, per definizione, è fatto per non durare, è fatto per essere scartato dopo poche settimane in nome di capi nuovi, più alla moda, più convenienti, più belli per il semplice fatto di essere stati appena acquistati. Valentina pensò nuovamente alla sua camicetta blu.

Stando ai dati disponibili online, Fast Fashion era colpevole. Colpevole di un modello di business improntato al consumo compulsivo di capi che sono, molto spesso, di bassa qualità. Valentina si stava abituando sempre di più all’idea di essere stata tradita ma, come in ogni storia d’amore, anche in ogni tradimento ognuno ha le sue colpe. Ripensava all’armadio che aveva appena messo sotto sopra e si sentiva anche lei colpevole per aver assecondato un modo di fare shopping che, come leggeva dalle sue ricerche, nuoce al pianeta, ai lavoratori ed ai consumatori stessi. Eppure, c’era qualcosa che non tornava, mancava l’anello che avrebbe aiutato Valentina a capire fino in fondo perché si trovava in questa situazione. Mancava il vero colpevole. Mancava l’assassino di Fast Fashion.
Nella penombra del suo ufficio, il commissario Mercurio si faceva la stessa domanda. Chi era stato ad uccidere Fast Fashion?

Ugh, ugh, ugh. Affannava Poorasfuck dopo l’ennesima corsa prima di trovare riparo in un vicolo di materassi ed elettrodomestici abbandonati. Erano settimane che fuggiva non solo dalla polizia ma anche e soprattutto da tutti questi consumatori amanti del Fast Fashion se l’avessero scoperta gliel’avrebbero fatta pagare cara. Poorasfuck avrebbe voluto spiegare, ma come parlare ad un mondo che non vuole ascoltare? Come dimostrare ad un mondo che non vuole vedere? Come svegliare un mondo che preferisce dormire sogni tranquilli mentre la realtà diventa sempre di più un incubo?

Poorasfuck, in cuor suo, non si sentiva un’assassina. Aveva semplicemente una missione da portare a termine e non poteva permettersi di fallire. Il gesto compiuto era un modo per mandare un messaggio. Anzi, l’unico modo per assicurarsi che il messaggio sarebbe arrivato al destinatario. 

Intanto le indagini andavano avanti ormai da settimane. E così anche le ricerche di Valentina, che realizzava ogni giorno di più quanto superficiale fosse stato il suo amore. Di Fast Fashion non sapeva nulla, non sapeva chi lavorasse per lui e a quali spese, non sapeva come Fast Fashion funzionasse e secondo quali meccanismi, non sapeva neanche quello che non sapeva ed è proprio per questo motivo che non aveva mai messo Fast Fashion ed il suo amore in discussione. Alle rivelazioni delle ricerche di Valentina si aggiunsero i progressi delle indagini, a proposito delle quali il commissario Mercurio avrebbe chiamato a breve.

Erano le cinque di un pomeriggio buio e piovoso quando il telefono della residenza Vallebruni iniziò a squillare. Questa chiamata colse Valentina davanti allo schermo del PC, immersa nel suo tentativo di scoprire la verità sul suo amante. Valentina si alzò e raggiunse a passo svelto il telefono fisso più vicino: quello nel corridoio. “Residenza Vallebruni, chi parla?”. La voce rauca del commissario Mercurio rispose: “Buonasera Signora Vallebruni, la chiamo perché ci sono importanti aggiornamenti sul caso Fast Fashion. Potrebbe raggiungermi in commissariato quanto prima?”. 

Dopo pochi minuti Valentina era già giù per le scale. Salì in macchina e si diresse al commissariato. “Buonasera commissario, ho fatto il prima possibile. La prego, mi dica”, disse Valentina mentre si accomodava su una vecchia sedia nell’ufficio del commissario. Valentina, per prima cosa, notò la scrivania. Era piena zeppa di foto, post-it, e appunti. Riuscì a riconoscere alcune facce tra quelle che figuravano sulle foto sulla scrivania. Sarà che il commissario abbia finalmente il nome del colpevole?

Valentina era pronta a ricevere tutte le risposte che aveva cercato invano attraverso le sue ricerche ma, dopo un lungo silenzio, il commissario non iniziò con una risposta, bensì con una domanda: “Signora Vallebruni, mi dica sinceramente, pensa ancora che Fast Fashion non avesse nemici?”.

Valentina non poteva più mentire, né al commissario, né a sé stessa. La verità era che Fast Fashion di nemici ne aveva tanti, a partire da coloro che avevano fatto di Fast Fashion il loro lavoro. Chi per scelta, chi no, i lavoratori del Fast Fashion ed i loro ritmi lavorativi sono il motore che permette a questa industria alti livelli di produzione e di conseguenza di incassi. Eppure, a nessuno di loro è garantito un salario dignitoso, condizioni lavorative rispettose e una cultura aziendale che li faccia sentire tutelati. Frugando tra le varie carte, il commissario precisa che questa situazione non caratterizza solo la produzione delocalizzata in paesi quali Blangladesh o India, bensì anche i lavoratori locati in paesi che comunemente si definirebbero economie sviluppate. 

Un meccanismo di produzione così intenso quale quello del Fast Fashion, irrispettoso dei lavoratori e delle risorse di cui si nutre ingordamente, è paradossalmente il primo nemico di Fast Fashion. Ma la lista è ancora lunga. Sono tanti i brand, gli attivisti, i movimenti e le organizzazioni che cercano di combattere Fast Fashion nella speranza di una moda più umana, più sensibile, più consapevole. Tra questi, due nomi sono in cima alla lista di sospettati del commissario Mercurio: Fashion Revolution ed Extinction Rebellion. Entrambi non hanno mai avuto paura di esporsi o esprimere la propria opinione coinvolgendo un numero sempre maggiore di consumatori e facendo luce sulle conseguenze catastrofiche del consumo compulsivo di moda Fast Fashion. 

“Ecco sono stati loro, tutto torna!” gridò Valentina balzando dalla vecchia sedia. Ma il commissario Mercurio spiegò scuotendo la testa: “Signora Vallebruni, purtroppo la faccenda è ben più complicata. Abbiamo avuto a che fare con rappresentanti di questi gruppi e tanti altri già in passato, motivo per cui sono stati tra i primi sospettati. Tuttavia, mi trovo costretto ad escluderli dalla lista dei sospettati del caso in questione perché non abbiamo alcuna prova che possano essere stati loro”. Valentina, scoraggiata, tornò a sedere. “Tuttavia”, proseguì il commissario, “c’è un sospettato che non è stato ancora identificato. Lo chiamano Poorasfuck. Si tratta di un soggetto altamente pericoloso che da tempo opera a livello internazionale nutrendosi dell’esposizione mediatica di piattaforme social per educare i giovani consumatori e spronarli a comprare in maniera più consapevole, sostenibile e che faccia star bene non solo i loro stessi ma anche il pianeta”.

Valentina uscì dal commissariato abbattuta e intristita, con l’intenzione di tornare a casa per continuare e dedicarsi alle sue ricerche ma, non riusciva a smettere di pensare a Poorasfuck. L’avrebbe trovato lei questo assassino senza scrupoli e ci avrebbe pensato lei a fare giustizia. Le sue ricerche presero così una direzione ben diversa. Tornata a casa decise di scoprire quanto più possibile sul suo nemico, studiò la sua missione e i contenuti del suo blog, investigò su come questo movimento fosse nato e si sforzò di pensare come il suo nemico. Dove si sarebbe potuto nascondere Poorasfuck?

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Erano le 11 di sera quando Valentina, appena tirate su le coperte, si coricò pensando che l’indomani avrebbe iniziato la sua caccia all’assassino. Ma, non fece in tempo a mettersi a letto che sentì un rumore non troppo lontano. Proveniva dal salone. Eccone un altro. Afferrò il telefono con una mano, pronta a chiamare il commissario, e un tagliacarte che teneva sul comodino con l’altra. Si avviò verso il salone con passo felpato. Le luci del salone erano accese, sul divano un ospite inaspettato attendeva Valentina con aria calma e disinvolta. Valentina incredula realizzò che non serviva alcuna caccia all’assassino: l’assassino le aveva reso il tutto molto più semplice andandola a trovare. Valentina rimase a qualche metro di distanza, in silenzio, impietrita, lasciata senza fiato dal fascino straordinario che l’ospite emanava.

Poorasfuck non si mosse dal divano poi, con aria calma, disse: “Valentina, sono stanca di fuggire. Io lo so come ti senti. Anche io sono stata innamorata di Fast Fashion, anche io sono stata tradita”. Valentina e Poorasfuck avevano così tanto in comune, così tanto di cui parlare, che le ore scorrevano senza che nessuna delle due se ne rendesse conto. Le domande di Valentina trovarono finalmente le risposte che nessuna ricerca finora era riuscita a darle ed il suo odio e il suo dolore trovarono finalmente la pace. Valentina decise di non denunciare Poorasfuck, al contrario, entrò a far parte del movimento di consumatori e cittadini che si battono per una moda più umana, più etica, e più circolare.

Il commissario Mercurio non riuscì mai a trovare Poorasfuck e le indagini furono archiviate senza che il caso fosse mai davvero chiuso.

Art Director: Poorasfuck Streetwear

Photographer: Diana Karmanschi @karmaph_

Stylist: Amelia Denisa @amystaste

Film Director: Chiara Pieraccioli @chiarapieraccioli

MUA: Ilary Cassarino @makeupbyilary

Hair: Manuela @_manhu__

Abiti: Vintage l’incanto @vintagelincanto

Article writer: Chiara Riezzo @chiaramentemoda